"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

martedì 27 febbraio 2018

Tre avvoltoi, di Henry Trujillo, Atmosphere Libri, trad. Raul Schenardi

Javier, uruguaiano, vuole andarsene in Spagna. Non sa esattamente perchè e, fino ad un certo punto, neppure se lo chiede: per lasciarsi alle spalle tutta questa merda, si risponde. Ma, appunto, per molto tempo non se lo domanderà neppure e, una volta postosi il problema, lo abbandonerà presto tra le domande lasciate inevase della popria, giovane, esistenza. Comunque vuole andare in Spagna, e comunque gli mancano un tot di soldi per poterlo fare. La soluzione, semplice all'apparenza, non priva di rischi ma, ad un primo acchito, tutti accettabili, è quella di portare un macchina rubata in Bolivia, e lì venderla. Per passare la frontiera ha un nome, un uomo che lo aiuterà, Raul. Raul gli darà un altro nome, Cobas, e Cobas un nuovo indirizzo. Intanto la frontiera l'ha attraversata, di notte, a fari spenti, riemergendo dal letto di un fiume in secca, nulla di troppo difficile anche se comunque rischioso. All'ultimo indirizzo incontra una ragazza, Paula, misteriosa come tante eroine letterarie latinoamericane e, come tante di loro, portatrice (non proprio sana) di segreti. Sarà lei a comprargli l'auto, e sarà lei a invischiarlo in una storia nera, ottusa, una sorta di narcocorrido a bassa intensità: in fondo siamo in Bolivia e le figure tragiche dei narcotrafficanti di fama mondiale sono lontane. E poi ci sono i tre avvoltoi che spolpano la carcassa di una pecora, che assurgono a simbolo della storia e, in un certo senso, della stessa natura umana. Avvoltoi, in numero sempre di tre, che di tanto in tanto ricompaiono nel cielo (o forse solo nell'immaginazione del protagonista) a lanciare significati sinistri allo sconclusionato Javier.

 Una pecora morta e sopra tre uccelli neri come i corvi, ma più grandi, che becchettavano la carne quasi marcia e strappavano via ciuffi di lana. Dovevano essere avvoltoi. Una pecora morta in una pianura verde e, dall'altro lato della strada, una fila confusa di montagne che sprofondavano nella nebbia con gli ultimi raggi di sole. E questo è tutto.

Paula vuole comprare il passaporto di Javier che, tra l'altro, a dirla tutta, è falso, dal momento che Javier non si era preoccupato di come avrebbe fatto ad uscire dalla Bolivia una volta venduta l'auto. Attorno a quel passaporto (e che sia originale o falso ad un certo punto non frega più niente a nessuno, tantomeno al lettore) si sviluppa (o, per meglio dire, si avviluppa) una trama classica di segreti, bugie e vendetta che Javier affronterà armato di una certa leggerezza e dabbenaggine più che di coraggio vero e proprio. Javier è un antieroe puro, slavato, privo di connotazioni particolari - nè tantomeno virili - che non siano una certa tendenza alla sottovalutazione delle conseguenze delle proprie azioni. La Spagna, intanto, è sempre più lontana. Il commercio di auto rubate, in loco, è in qualche maniera (che non svelo) connesso ad altri traffici, più redditizi e anche molto più pericolosi. Ci sono un fratello che non si indovina se sia mezzo scemo o ancora sconvolto dall'omicidio del padre. Ci sono due fratelli che, pur se descritti come semplici vettori narrativi, paiono usciti dalla penna di un certo William Shakespeare: uno uccide l'altro poi, non pago, si scopa la cognata (ad onor del vero ormai ex cognata) e, per non farsi mancare nulla, pure la figlia di lei, cioè la nipote. Una tragedia greca calata in sudamerica, ma a bassa intensità dicevo; un pulp depurato dai tratti salienti che lo rendono pulp. In questo groviglio che si dipana poco alla volta Javier è l'anima pura, e un tantino ebete, che scopre d'un tratto che il mondo non è popolato solo di persone per bene, ma che, anche nel momento in cui viene folgorato da tale primordiale verità, non è che ne rimanga poi particolarmente sconvolto, nè cambia di una virgola il suo approccio verso il mondo che lo circonda. Per essere una tragedia, di sangue ce n'è poco, e lo vediamo, come tutto, da lontano: non appartengono a Trujillo le descrizioni gore e i particolari raccapriccianti, ma nemmeno le atmosfere tese e oniriche alla David Lynch, la violenza c'è ma non è mostrata in tutta la sua mostruosità, è piuttosto un dato di fatto: non pensavi ci fosse, ma c'è, e quindi ne prendi atto. La tensione c'è, ma è digerita senza mai essere portata al parossismo. La  vendetta che, come sempre, è il motore immobile che muove tutto il resto, c'è, ma viene scoperta alla fine e, a quel punto, cosa vuoi farci? Non è neppure ben chiaro se dietro alla vendetta ci fosse solo il dolore per l'omicidio del padre o anche una questione di interessi. Semplicemente non lo si sa, e a Javier in fondo non frega nulla. Il racconto è intervellato da brevi capitoli in cui Javier, l'antieroe venuto dall'Uruguay, racconta la storia ad uno scrittore, che di quella storia vuole fare un libro. Ed è qui che sta la magia di questo Tre avvolti: in fondo lo scrittore del romanzo potrebbe essere lo stesso Trujillo che intuisce le potenzialità tragiche e narrative del racconto di Javier, ma che deve di volta in volta instradarlo, specificare quali particolari farsi raccontare, sottolineare certi passaggi: Javier vende la sua storia per raccimolare i soldi per andare in Spagna, ma in fondo, nonostante un certo scorrere di sangue nel finale, nonostante i rischi corsi, i sentimenti provati, l'avventura vissuta e via discorrendo, rimane emotivamente distante dal suo stesso racconto. L'unica cosa che, anche qui tiepidamente, gli rimane impresso, è il dubbio di non essere stato del tutto indifferente a Paula.

<<Mi sta dicendo che quella donna era l'amante di Milo Zavic? (...) E che allo stesso tempo era sua nipote? Interessante. Avidità, incesto. Non male>>
Javier Michel distoglie lo sguardo dalla finestra e guarda il volto rossastro dell'uomo con gli occhiali, che se li è appena tolti, e ora i suoi occhi hanno assunto l'aspetto bizzarro di quelli di un topo strabico.
<<Perche avidità?>>

Dicevo, a bassa intensità: tutta la narrazione ha questa caratteristica, perchè raccontata in prima persona da Javier, ed è così che la viviamo noi lettori, a bassa intensità. Però, perchè c'è un però: però è una bassa intensità che funziona, la distanza che Javier pone tra sè e il suo vissuto in fondo aiuta a far emergere il meccanismo diabolico che è alla base di ogni noir che si rispetti, e questo è, in fondo un noir (un noir che si fa rispettare), ma un noir suo malgrado, che non pigia mai sull'accelleratore, che pare distogliere lo sguardo da certi topoi del genere per concentrarlo su qualcos'altro che, però, non emerge mai. E' solo una storia, come ce ne sono tante in america latina e nel mondo, una storia che finisce male ma che comunque rimane una parentesi nella vita del protagonista, un ricordo che gli lascia un sapore dolce-amaro sul palato ma che vale la pena di essere raccontata solo perchè c'è qualcuno che lo paga per farlo.
  La bravura di Trujillo, scrittore da tenere d'occhio, sta proprio nel dare un tono sommesso ad una storia che altrimenti sarebbe divenuta un noir urlato e sguaiato, tiene bassi i giri della narrazione e permette al lettore di gustarsi la storia, non mette mai alcun personaggio sotto la lente d'ingrandimento, i personaggi vivono la superficie delle cose e, in fondo, è un bene perchè sotto la superficie c'è l'oscurità, la vendetta e, forse, la pazzia. Un noir latino, lontano da ambientazioni metropolitane, vissuto lungo le frontiere e i paesini (forse sarebbe più corretto definirli cumuli di case) della foresta,  invischiato su traffici illeciti ma periferici, lontani dal ghota della malavita, un noir distratto che, se Dio vuole, non vuole essere nient'altro che sè stesso. Il racconto è ridotto all'osso, spolpato come la carcassa della pecora da parte dei tre avvoltoi. Per intenditori.

Accesi la radio: trasmettevano soltanto chamamé. Nello specchietto retrovisore vidi che gli avvoltoi si erano alzati in volo. Il giorno dopo sarebbero sicuramente tornati a fare colazione.



Henry Trujillo è nato in Uruguay nel 1965. Ha una laurea in Sociologia, è docente di letteratura e, naturalmente, scrittore. Ha pubblicato quattro romanzi, Torquator, La persecución, El vigilante e l'eccellente Ojos de caballo, tutti con successo editoriale. Se tutta la letteratura riflette letture intelligenti, Trujillo ha raggiunto uno stile inconfondibile. Nel 2007 ha pubblicato Tres Buitres (Tre avvoltoi). Nel 2012 è stata pubblicata la versione francese Trois vautours.

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