"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 18 febbraio 2016

In cerca di Klingsor, di Jorge Volpi, Mondadori editore, trad. di Bruno Arpaia

Klingsor è un personaggio del Parsifal di Richard Wagner e, nella finzione del libro di Jorge Volpi, il nome in codice di quell'entità che ricopriva il ruolo informale di consigliere scientifico di Hitler, colui che aveva modo di decidere (o, per meglio dire, di far decidere: a Hitler ovviamente che, di suo, verosimilmente, non ne capiva una mazza) quali ricerche avrebbero ricevuto fondi e quali no, quali scienziati avrebbero fatto carriera e quali sarebbero stato affossati cioè, in parole povere, Klingosr era colui che era in grado di decidere la direzione e le sorti dell'intera scienza tedesca (che, come sappiamo, all'epoca si estendeva dalla fisica quantistica a veri e propri deliri quali la teoria della terra cava e altre fesserie del genere). L'autore, Jorge Volpi, immagina che durante il processo di Norimberga venga fatto cenno a questo enigmatico Klingsor, in maniera superficiale e quasi casuale, da un oscuro aderente al partito nazista che subito nega di aver mai pronunciato quel nome. Nelle carte, viene cancellato, non ne rimane traccia, la Storia non avrà mai modo di raffrontarsi con Klingsor, ma chi era presente e ha udito, si mette in allarme. Gli Stati Uniti incaricano il giovane fisico Francis P. Bacon (da poco arruolatosi nell'esercito del suo paese per sfuggire a una opprimente realtà fatta di fisica e donne - due) di indagare e di scovare questo fantasmatico, e diabolico, soprattutto diabolico, Klingsor, sempre che esista, o sia esistito. La storia si articola su tre piani temporali, il presente, il 1989 nel quale il matematico Gustav Links si trova richiuso in un manicomio e racconta, il passato, cioè il 1946 nel quale Bacon e Links indagano alla ricerca di Klingsor, e il trapassato (chiamiamolo così), vale a dire l'epoca della gioventù dei due investigatori nella quale germogliano i prodromi che si andranno innestando nel futuro della storia. In special modo la gioventù di Links avrà una particolare rilevanza nel dare un ordine ed un significato al succedersi ed, anche, al precipitare degli eventi. A parte il piano del 1989 (il presente da cui Links narra), gli altri due sono in un certo qual senso uno lo specchio dell'altro o, per essere più precisi, gli avvenimenti che prendono forma in un piano temporale saranno speculari a quelli dell'altro piano. Mi spiego, i tradimenti che si consumano prima saranno una sorta di prequel di quelli successivi. Le vite di Bacon e Links, scienziati dalla mente fredda e razionale, vengono squassate e decise dall'irrazionalità dei sentimenti che provano per le donne che li circondano. La narrazione è un movimento perenne e ipnotico tra l'indagine e il conseguente sprofondo nella palude della storia del periodo, e la storia personale dei due protagonisti - il narratore è uno, Links, ma i protagonisti sono comunque due - costellata da passioni eccessive incapaci di concretizzarsi in altro che non sia un finale dai toni da tragedia (non greca ma germanica e norrena). Non solo l'indagine, ma tutto il libro è una immersione nella storia della fisica del novecento, a tratti forse troppo didascalica ma comunque efficace. Einstein, Bohr, Schrodinger, Von Neumann, Heisenberg, sono tutti personaggi che si muovono e parlano tra le pagine del libro, immersi nella realtà bellica dell'epoca, nella quale, ovviamente, nulla è come sembra, e le responsabilità di uno scienziato si decuplicano di fronte ai paradossi della storia. Procedendo nella lettura si viene condotti in una detection dove i mostri sacri della scienza di quegli anni (e quindi di tutti i tempi) si scontrano a suon di teorie e colpi bassi, dove sono le stesse teorie a scontrarsi (ad uscirne vincitrice sarà quella quantistica che cancellerà le certezze della fisica classica senza, in fondo, poterle sostituire con teorie nuove altrettanto granitiche: si torna al socratico "sapere di non sapere") e in mezzo a queste battaglie epocali i singoli, per quanto geni riconosciuti, si trovano a dover giocare un'ulteriore partita: da che parte stare? Fino a dove ci si può spingere ad usare la politica prima che non si ribaltino le regole del gioco e non sia la politica ad usarti? E come ti giudicherà la Storia (quella con la S maiuscola)?
  Il libro è solido e ben costruito, giocato più che non sulla spy story e sulle vicende sentimentali dei protagonisti, sulla storia del pensiero scientifico di quegli anni, una storia terribilmente affascinante o, per meglio dire, considerate le conseguenze che ha avuto sulla realtà e quelle che avrebbe potuto avere: una storia terribile ed affascinante. Il libro avrebbe potuto certamente essere meno didascalico e grondare più letteratura, ma immagino che avrebbe dovuto essere corredato da un apparato di note esplicative simil Infinite Jest di wallaciana memoria. La cosa che più risulta affascinante, per un profano, oltre che proprio la fruibilità della storia della fisica dell'epoca, è la struttura perfettamente riuscita del romanzo. I piani temporali, come già detto, le storie dei protagonisti che si specchiano tra loro e divengono premessa per quanto accadrà in seguito, tutto quanto richiama una costruzione perfetta e, paradossalmente, indefinita. Mi spiego: il romanzo è da considerarsi riuscito anche in un altro aspetto, a mio avviso il principale, vale a dire rendere, l'argomento principe della storia, cioè la fisica quantistica e il principio di indeterminazione, lo stesso principio che governa gli avvenimenti che costruiscono la storia stessa. Cioè: come non è possibile determinare la posizione di un elettrone in un determinato momento, così non è possibile decifrare l'identità di Klingsor. Le teorie che Links e Bacon formulano su chi possa essere (o essere stato) Klingsor, si scontrano coi limiti che la stessa fisica di quegli anni scopre in sé stessa: ovvero, (chi sia Klingsor) non è possibile stabilirlo con certezza. L'errore finale di Frank Bacon infatti sarà proprio quello tipico di un fisico classico, cioè quello di voler a tutti i costi trovare un colpevole (voler a tutti i costi definire dove diavolo si trovi il maledetto elettrone nel tale momento x). Rispetto ad un'indagine classica, nella quale il detective riporta l'ordine in una realtà governata dal caos, qui tutto il romanzo pare essere una spiegazione a posteriori di come (principio di indeterinazione dixit) il caos non possa essere cancellato, e l'ordine non possa essere altro che un apparenza (leggi: errore). Il mondo della prima metà del novecento descritto ne In cerca di Klingsor è un mondo devastato dal caos sulfureo e tragico di una guerra mondiale che non trova conforto neppure nella sua intellighenzia, la quale deve chinare il capo di fronte ai propri limiti (e anche qui il paradosso: lo sforzo estremo di superarsi della scienza la porta inesorabilmente al "trionfo" di prendere atto dei propri limiti).

  Il mondo nelle mani di un sanguinario illogico ed irrazionale si scopre in balìa di leggi fisiche impossibili da addomesticare ad una razionalità umana. Un mondo privo di certezze che trova nella fisica dell'indeterinazione, della casualità e del dubbio la strada per radere al suolo l'umanità, fare tabula rasa e ricominciare da capo. Ma nessuno sa chi sia Klingsor.

Jorge Luis Volpi Escalante (Città del Messico, 10 luglio 1968) è uno scrittore, saggista e accademico messicano, con Eloy Urroz, Ignacio Padilla e Pedro Angel Palou, fondatore negli anni novanta della Generación del crack (Crack Movement). Attualmente lavora a Puebla, presso la Fundación Universidad de las Américas (UDLA).
Studia Giurisprudenza e Letteratura presso l'Universidad Nacional Autónoma de México de la Ciudad. Lavora come avvocato per due anni, poi si decide a diventare scrittore di professione.
Contribuisce significativamente a fondare il Crack Movement, convinto che la Letteratura latinoamericana debba andare oltre il Realismo magico dei tempi d'oro e che la Letteratura messicana debba concentrarsi più su se stessa. Lui in particolare guarda a Juan Rulfo, Carlos Fuentes e Octavio Paz come ai modelli da seguire, mentre Padilla, ad esempio, si dimostra più legato a Borges.
Nel 2007 viene eletto direttore del Canale 22, l'emittente culturale sponsorizzata dal Governo messicano.
Ha raggiunto una certa fama grazie al romanzo En busca de Klingsor (In cerca di Klingsor), pubblicato nel 1999, al termine dell'avventura Crak Movement; per esso vince il Premio Biblioteca Breve.
  In italia pubblica anche: Non sarà la terra (2010) e Memoriale dell'inganno (2015)

domenica 7 febbraio 2016

Dell'eleganza mentre si dorme, di Emilio Lascano Tegui, Barney edizioni, trad. di Raul Schenardi

  Ripescare cadaveri nella Senna significa divenire una piccola celebrità locale, soprattutto se sei un bambino e il fascino della morte, da quel momento in avanti, ti è saltato in collo e non ti ha più abbandonato. La voce narrante del libro vive a Bougival, un borgo alle cui spalle scorre la Senna, dispensatrice più che altro di corpi gonfi e banchettati dai pesci, e Bougival è, per la narrazione, un mondo a sé, distante in ugual misura da Parigi come da New York, o da Buenos Aires, vale a dire lontanissimo. Da tutto. Una distanza siderale che lo divide dal resto dell'universo, come se il borgo stesso fosse sprofondato in un fossato (se non proprio un buco) spaziotemporale dal quale potrebbe, forse, solo spiare il resto dello scorrere del tempo, se solo ne fosse interessato. Bougival (che possiamo immaginare sia la trasposizione letteraria di Concepción del Uruguay, la cittadina della provincia argentina di Entre Rìos, nel quale l'autore è nato) è il palcoscenico della storia-nonstoria narrata da Lascano Tegui, ma al contempo è parte integrante della mente del narratore (e, quindi, presumibilmente dell'autore): lo spazio della narrazione è essa stessa narrazione, così come la storia che viene narrata è al contempo oggetto e soggetto della narrazione. La storia è la mente distorta (o l'anima piagata, o la fantasia, o più fantasie malate) del narratore. Il libro si apre con la premonizione di un delitto (secondo il procedimento utilizzato da Oscar Wilde ne Il delitto di Lord Savile), sussurrata con leggerezza, quasi si trattasse di un futile pettegolezzo e, dopo un ondivago dipanarsi di micronarrazioni dai tocchi noir, esistenzialisti, amenamente gotici, aforismi e considerazioni su aspetti a volta profondi e spesso (quando non al contempo) frivoli, si risolve con la conferma della predizione iniziale. Il delitto finale diventa quindi non tanto una forma d'arte quanto una parodia della stessa, unico sbocco al tedio cinico nel quale l'animo del narratore galleggia (non nuota, verbo che denota un'attitudine troppo attiva), lasciandosi pigramente trasportare da un pensiero ad un altro, da un aneddoto al seguente.

I pesci - mi riferisco a quelli della Senna - che arrivano a Bougival sono vecchi e stanchi. Conoscono l'intero trattato dell'arte della pesca. Quando mi metto a fischiare sulla riva, vedo che si divertono saltando fuori dall'acqua per godersi la musica. Invece, quando passano accanto alle canne tese non si girano affatto. I pescatori sono gente noiosa, non sono neanche capaci di fischiare.

  Il cocchiere, interlocutore privilegiato del narratore, è un prete spretato, che non riesce a concepire "romanzi se non in carrozza", inanella storie lugubri, immorali quando non addirittura amorali, e così gli altri personaggi che compaiono in maniera casuale nelle pagine a scansione diaristica del libro non sono altro che figure appartenenti a qualche narrazione o che, a loro volta, danno vita a nuove divagazioni, figure vuote che reagiscono agli urti della vita secondo asettiche logiche di azione-reazione, uomini o donne persi nell'umida brughiera di Bougival come negli anfratti più oscuri della propria esistenza, incapaci di offrire una resistenza (e tanto meno una resilienza) vera e propria agli urti ai quali vengono sottoposti. Passivamente soccombono agli orrori quotidiani. O, come nel caso di Gabriela, si riparano nella pazzia da orrori che pur sconvolgenti finiscono col colorarsi delle grigie tinte del quotidiano. Anche il sesso, pur se intinto nel sale della perversione e del proibito, finisce col lasciare il retrogusto amaro della delusione. Lo sguardo del narratore è quello di un dandysmo nichilista da bohème che, se nel diario si incarna spesso in un tono aforistico brillante, velocemente si spegne in una visione sartriana del mondo che diviene, pagina dopo pagina, sempre più cupa e paradossale. L'universo scruta Bougival con distacco, senza il minimo interesse, e questo sprezzo viene percepito dagli "abitanti del libro" che si sentono - e sono - orfani di un senso che permetta loro di muoversi alla ricerca di qualcosa di definitivo; il non senso ed il rimpianto che possiede le anime degli abitanti di Spoon River, è pane quotidiano per gli abitanti di Bougival già in vita. L'unica forma di ribellione che è data al narratore-protagonista è certo dandismo di maniera che marca un distacco dalle cose del mondo e da sé stesso. Il piacere del paradosso, il superamento della morale comune, una ricerca di stile pur se in una microcosmo (waste land) dove sono gli appetiti più bassi a farla da padrone (eros e thanatos), queste sono le armi che l'uomo si riserva per innalzarsi non già di fronte al destino quanto piuttosto rispetto al resto dell'umanità dolente che quel destino compone.

Bougival è popolato di vecchie. Le loro grandi facce riempiono i vetri delle finestre. Dio mio, come sono vecchie!... Ormai neanche la morte può convincerle, moriranno soltanto il giorno in cui si saranno stancate di sentir suonare le campane.

  E' lo sguardo, non la struttura, che rende l'opera di Lascano Tegui degna di elevarsi oltre il mero esercizio di stile, anche perché l'esercizio di stile è il fallimento di una terra desolata che non sa far altro che inghiottire un cadavere dopo l'altro, per poi risputarli nel corpo liquido della Senna.
  Lo stile di Lascano Tegui rimarca la sconfitta di un dandy (e il richiamo, l'ennesimo, a Wilde è d'obbligo) incapace di sopportare con leggerezza la mostruosità del reale, divenendone schiavo. I topoi del dandismo rimangono di maniera, una pratica che si svuota ma che eroicamente si ripropone come unica risposta ad un universo grottesco e senza senso.



   Emilio Lascano Tegui: nato in un paesino della provincia argentina di Entre Rìos, in una famiglia  modesta che presto si traferì a Buenos Aires, fu traduttore per l'Ufficio internazionale delle Poste. Poco più che ventenne viaggiò a piedi in Francia, Italia e NordAfrica, dove pubblicò (attribuendosi il titolo di visconte) una raccolta di versi accolta con entusiasmo dai circoli intellettuali. Nel 1913 visse a Parigi, dove strinse amicizia con Apollinaire e Picasso, e per sbarcare il lunario fece vari mestieri - venditore ambulante, arredatore, meccanico, dentista - mentre esponeva dipinti in importanti mostre collettive. In seguito ricoprì in veste di diplomatico diversi incarichi ufficiali che lo condussero a Boulogne sur Mer, Cherbourg, Parigi, Caracas (dove realizzò un gigantesco murale) e Los Angeles. Squisito maestro dell'arte culinaria, bon vivant, collaborò per tutta la vita a importanti pubblicazioni in patria e all'estero e fu uno dei precursori della nuova sensibilità modernista. Oltre a Dell'eleganza mentre si dorme, pubblicato per la prima volta a Parigi nel 1925, nel 1936 diede alle stampe altri due romanzi singolari, El libro celeste e Album de familia, e nel 1924 i versi di Muchaco de San Telmo. Dandy, provocatore, cosmopolita, morì a Buenos Aires.

lunedì 1 febbraio 2016

Il paese dell'alcol, di Mo Yan, Einaudi editore, trad. di Silvia Calamandrei

  Mo Yan è un premio Nobel, e va maneggiato con cura. Tutta la storia de Il paese dell'alcol va maneggiata con cura, perché è un gioco ad incastri, una narrazione su più piani, un sogno grottesco che sfuma in una realtà ancor più grottesca, dove ogni avvenimento è, o potrebbe essere, frutto di un incubo, o dei fumi dell'alcol, o corrispondere semplicemente alla verità. Un pastiche, un gioco d'ombre nel quale la figura dell'investigatore (quella che tecnicamente è la portatrice di ordine in un mondo permeato dal caos) si perde fin da subito in un teatro delle ombre che mette in scena una realtà ambigua, scivolosa e corrotta, che fiacca la volontà di Ding Gou'er confondendone la capacità di raziocinio.
   L'ispettore Ding Gou'er viene inviato a Jiuguo, il paese dell'alcol del titolo, per indagare su un'usanza barbara (e, ovviamente, illegale) che pare vigere tra le alte cariche del paese, una devianza immorale frutto della decadenza in cui versa la classe dirigente di Jiuguo: il cannibalismo. In un piccolo centro lontano dalle grandi metropoli che poco alla volta lotta per conquistarsi un posto al sole nel moderno panorama della nuova Cina, e che lo fa ritagliandosi fama nazionale per la propria enciclopedica produzione di alcolici e per una particolare attenzione ad ogni genere di prelibatezza (o efferatezza) culinaria, allevare bambini al fine di cucinarli per deliziare i palati dei potenti locali potrebbe essere non solo una cupa leggenda, bensì un orrenda realtà. Ma la natura stessa della città, sospesa tra una voglia di ricchezza e di futuro e un passato ancestrale e magico che non smette di lanciare le sue ombre sul presente, nonché sulla psiche collettiva della comunità, irretisce da subito l'ispettore e, in nome dell'ospitalità e delle usanze alcoliche del luogo, lo inebetisce a suon di brindisi e banchetti straripanti di ogni tipo di leccornia (non dimentichiamoci, e Mo Yan lo esplicita nel libro, che in Cina, si mangia tutto ciò che è vivo). La volontà, non propriamente ferrea ma comunque, almeno inizialmente, chiara di Ding Gou'er, svapora in una narrazione che rimane sospesa tra lo stile di realismo allucinato dell'autore e il vero e proprio delirio del protagonista. Dove inizi l'uno e dove finisca l'altro è uno dei diversi piani di lettura che Mo Yan lascia alla libera interpretazione del lettore. Per certi versi gli argomenti fulcro della narrazione (alcol e cibo per il reparto gola, sesso per la lussuria, e cannibalismo e violenza varia, armi, uccisioni, nani, fantasmi e via discorrendo) ne fanno un testo ai limiti (o oltre i limiti) del pulp. Ding Gou'er già prima di arrivare in città si lascia irretire dalla lascivia di una bella camionista di cui finisce per innamorarsi (o crede di farlo) e che lo caccerà in un mare di guai, ai quali ne seguiranno altri, senza soluzione di continuità. Questa linea narrativa però, che può essere considerata l'asse portante del libro, si interseca con le lettere che Li Yidou, un giovane ammiratore dello scrittore Mo Yan (e laureando in distillazione di alcolici), gli invia, a cui fa seguito la terza linea narrativa, quella dei racconti che Li Yidou sottopone al giudizio di quello che considera il proprio maestro. I racconti di Li Yidou hanno come tema l'alcol, la città di Jiuguo nella quale vive, e diversi personaggi che compaiono sia nel racconto di Mo Yan, che nelle lettere dello stesso Li Yidou a Mo Yan. La linea narrativa principale, si esaurisce presto in un vorticoso delirio che scimmiotta i generi e si perde in una sorta di loop privo di sbocco (è lo stesso Mo Yan, alla fine del libro, ad ammetterlo) e si risolve soltanto con l'entrata in scena dell'autore all'interno della sua stessa narrazione, nelle vesti contemporaneamente di personaggio e scrittore, entrata in scena che permette il ricongiungersi dei tre filoni di narrazione che si sciolgono in un ulteriore loop che ricorda il finale de L'inquilino del terzo piano, di Roland Topor.
  Pare che il libro sia una risposta allo sdegno dell'autore in seguito al massacro di Piazza Tienanmen:
sicuramente dipinge, architettando una struttura narrativa fortemente sperimentale, una Cina a tinte cupe, dove l'ancestrale e magica brutalità del proprio passato si innesta nella corruzione degli alti ranghi del partito ormai lanciati in una dissoluzione di ogni valore fondante che non sia un'orgia perpetua dei sensi, una corsa alla fama, al piacere e, in fondo, alla sopraffazione. L'ossessione del cannibalismo, non nuova all'immaginario cinese, è in questo caso una trasparente metafora di una nazione che cannibalizza sé stessa, nutrendosi dei propri figli. Giungendo anzi ad un grado ulteriore di decadente ed organizzata efferatezza: i bambini vengono concepiti e allevati apposta per essere venduti alla locale scuola di cucina e quindi cucinati. Sono, viene detto nel testo dalla suocera di Li Yidou, uguali ai bambini normali, in tutto e per tutto, ma non sono bambini, sono delle bestiole che vengono al mondo per essere smembrati, cotti, cucinati e serviti. C'è, in tutto questo, qualcosa della mostruosa macchina burocratica nazista: un'organizzazione pensata a mente fredda, finalizzata ad anestetizzare le coscienze, a penetrare nell'inconscio collettivo per modificarne la natura o, per meglio dire, ci sarebbe, perché la certezza del crimine in questo Il paese dell'alcol non trova mai una sua evidenza. Ding Gou'er perde il filo della sua indagine (a dir la verità, neppure lo trova mai) e il crimine rimane un interrogativo irrisolto. Mo Yan intesse un romanzo arcaicamente post moderno che vuole rappresentare una denuncia senza però esplicitare il proprio grido di sdegno, soffocandone lo slancio nell'ironia dei toni e nel vorticoso sussuguirsi di registri stilistici. La capacità dell'autore di maneggiare i suoi abituali materiali narrativi è giocoforza smorzata dalla complessità della struttura che rallenta la narratività della storia e la ingolfa nei continui rimandi tra i vari piani narrativi e nei personaggi che si rimpallano da un piano all'altro. E' lo stesso Mo Yan, nella doppia veste di personaggio e di autore, ad ammettere di aver perso il bandolo della matassa della storia di Ding Gou'er, e pare non farsene un cruccio, e proprio questa sua noncuranza è chiave di lettura di tutto il libro: non è importante la storia, nè se i bambini vengono o meno mangiati, ma la semplice realtà che un tale crimine possa essere immaginato e che nemmeno un ispettore inviato in loco riesca, non dico a risolvere il dilemma, ma neppure ad affrontarlo seriamente . Un ritratto di un paese che, ritrovatosi nel successo, perde sé stesso, che balbetta nel vedersi allo specchio, senza sapere se ridersi addosso, condannarsi senza appello o fingere indifferenza raccontandosi mille storie diverse che lo assolvano o, quantomeno, lo rendano meno colpevole ai suoi stessi occhi.


Mo Yan, premio Nobel per la Letteratura nel 2012, nasce nel 1955 da una famiglia numerosa di contadini poveri, a Gaomi, nella provincia dello Shandong. Nel febbraio del 1976 abbandona il povero e isolato paese natale per arruolarsi nell'esercito. Fa il soldato semplice, il caposquadra, l'istruttore, il segretario e lo scrittore. Nel 1997, congedatosi dall'esercito, inizia a lavorare per un giornale. Nel frattempo si è laureato presso la Facoltà di Letteratura dell'Istituto Artistico dell'Esercito di Liberazione Popolare (1984-1986) e ha ottenuto un Master in Studi letterari e artistici presso l'Università Normale di Pechino (1989-1991). Inizia a pubblicare nel 1981.
Fra le sue numerose opere narrative, Einaudi ha finora pubblicato Sorgo rosso, L'uomo che allevava i gatti, Grande seno, fianchi larghi, Il supplizio del legno di sandalo, Le sei reincarnazioni di Ximen Nao, Le rane, Le canzoni dell'aglio e Il paese dell'alcol. Delle sue undici novelle si ricordano Felicità, Fiocchi di cotone, Esplosioni, Il ravanello trasparente. Tra i racconti, Il cane e l'altalena e Il fiume inaridito, che Einaudi ha pubblicato nella raccolta di racconti L'uomo che allevava i gatti.
Ha anche scritto opere teatrali e sceneggiature cinematografiche come Sorgo rosso, Il sole ha orecchie, Addio mia concubina. Il film Sorgo rosso è stato premiato con l'Orso d'Oro al Festival del cinema di Berlino e Il sole ha orecchie con quello d'Argento. Nel 2005 gli è stato assegnato il Premio Nonino per la sua intera opera.