"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

sabato 13 giugno 2015

L'eliminazione, di Rithy Panh (con Christophe Bataille), Fetrinelli editore

  Nell'Aprile del 1975 i Khmer Rossi di Pol Pot, alleatisi con il neonato Fronte Nazionale Unito Khmer, prendono il potere in Cambogia. Da quel momento fino al 1979 Rithy Panh, che è un bambino di unidici anni, vive (ma sarebbe più corretto dire che sopravvive) in una parentesi temporale nella quale ogni parvenza di logica e senso viene spazzata via in un sol tratto in nome della società nuova che l'Angkar, l'invisibile governo della nuova Kampuchea Democratica, decide di mettere in atto. Potrebbe essere comunismo, ma non è neppure quello: è follia, pura e semplice. Ed è deportazione di massa, è spoliazione dei beni, è cancellazione di ogni individualità, è fame, tortura, uccisioni, fosse comuni, stupri, esperimenti "scentifici" sui prigionieri, infanticidi. Ed è - diciamo - subito sera. Notte più che altro, la notte della ragione e, citando Goya, il sonno della ragione genera mostri. L'essere umano non esiste più, esiste solo in quanto ingranaggio di un sistema più grande, il sistema dell'Angkar, e gli ingranaggi non hanno sentimenti, non provano dolore, li si può sostituire, gettare, intercambiare. Poi, peggio, da ingranaggio si diventa nemico, nemico del popolo. E infine il popolo diventa nemico di sè stesso, si autocannibalizza, la paranoia prende il sopravvento e dalle menti dei pochi - invisibili - dirigenti si propaga come un virus e, veicolato dal terrore, infetta tutti, vittime e carnefici. Dico vittime e carnefici perchè le categorie sociali sono rimaste quelle due, non c'è modo di essere altro o si tortura e si uccide o ci si nasconde fino a quando non si ci si tradisce, magari perchè si cerca di spulciare il proprio giaciglio di paglia (ed è male, perchè le pulci sono creature dell'Angkar) e si viene torturati, si muore. La rivoluzione svuota le città e inchioda tutta la popolazione nei campi: il futuro dev'essere costruito su due soli classi sociali, operai e contadini, non esistono più medici, ingegneri, insegnanti, tantomeno artisti, o si lavora nei campi o si lavora in fabbrica. Ma la verità è che esistono solo aguzzini e vittime, tutti quanti chiusi in un'unico carcere a cielo aperto. Sarebbe più corretto definirlo inferno, non carcere. Rithy Pahn articola questo libro su due piani, il presente, in cui lui stesso intervista Dutch il boia a capo del S21 (la macchina di morte dei Khmer rossi) uno dei centri in cui si torturava in cerca di una confessione e, a confessione ottenuta, immancabilmente si uccideva, e il passato, dall'arrivo dei Khmer rossi a Phnom Penh, alla deportazione di tutta la popolazione nei campi e, follia dopo follia, mostruosità dopo mostruosità, fino alla caduta del regime e alla fuga di Rithy, ancora bambino, verso la Tailandia. Rithy, regista e documentarista, si pone di fronte a Dutch, al boia, come se fosse uno specchio, cerca in lui una risposta umana alle sue domande, un pentimento che non sia mera prova attoriale, lo incalza, gli mostra foto, immagini delle sue vittime, incrocia dati e testimonianze, domanda, continua indefessamente a domandare e a cercare uno spiraglio di pentimento, ma la follia dell'Angkar rimane ammorsata in Ducth, che ride, manipola, si finge offeso, risponde con gli slogan del regime, poi mente, tenta di portare Rithy ad essere suo complice, almeno morale, dell'intervista, lo vuole far cadere: è l'animale che non vuole morire, che si dibatte, che dà spettacolo e tenta di corrompere il suo pubblico. E' un libro terribile. E' una storia terribile. E' un mondo terribile. E' una specie, la nostra, terribile. La Kampuchea Democratica tornerà ad essere la Cambogia, i sopravvissuti sopravviveranno, più che altro a sè stessi ed ai propri ricordi, la memoria di quel periodo rimarrà uno scrigno quasi troppo doloroso per essere riportato davvero alla luce, per essere aperto in cerca di cosa ci fosse all'interno, ma rimarranno i morti, milioni, uccisi per avere rubato un pugno di riso, per aver sognato anche solo per un attimo di vivere una realtà che non fosse l'incubo che li circondava, o anche senza motivo alcuno, i morti uccisi perchè, prima, erano vivi. I carnefici uccisi perchè non erano stati carnefici abbastanza solerti. I morti per fame. I morti, i morti. Questo potrebbe benissimo essere un libro di fantascienza, una di quelle storie nelle quali un virus che arriva da qualche altro pianeta comincia ad infettare gli esseri umani e a zombizzarli, invece è una testimonianza diretta di uno di quei momenti nella storia in cui l'uomo si lascia abitare dalle sue più nere perversioni e così facendo apre una faglia, uno strappo (una fossa) dalla quale penetra un'altra dimensione, fatta di follia, paranoia, perversione e morte. E' un libro terribile, l'ho già detto, ma è anche un libro che và letto, perchè nonostante tutto parla di noi, in presa diretta, dell'essere umano, del momento in cui nella storia tanti esseri umani decidono di non essere più tali, di diventare un corpo unico, un meccanismo, un insieme di ingranaggi, una macchina di morte.

Rithy Panh nasce nel 1964 a Phnom Penh, in Cambogia. Dal 1975 è prigioniero nei campi di riabilitazione dei khmer rossi. Nel 1979, appena quindicenne, rie­sce a fuggire in Thailandia. L’anno successivo si trasferisce a Parigi. Nel 1985 si iscrive all’Institut des hautes études cinématographiques (Idhec) e firma il suo primo documentario nel 1989, Site II. Da allora Rithy Panh non ha smesso di lavorare contro l’amnesia del suo paese mostrando la tragedia cambogiana e le sue conseguenze – tra il 1975 e il 1978 il regime di Pol Pot ha fatto più di due milioni di morti. Tra i suoi documentari si ricordano S21, La macchina di morte dei Khmer rossi  (Feltrinelli “Real Cinema”, 2007) e The missing Picture, con il quale ha vinto il premio della sezione “Un Certain Regard” al festival di Cannes nel 2013. L’eliminazione (con Christophe Bataille; Feltrinelli, 2014) è stato pubblicato in Francia da Grasset e può essere considerato l’autobiografia di Rithy Panh. Il libro ha ottenuto in Francia il Gran Prix des Lectrices d’Elle, il Grand Prix Joseph Kessel, il Grand Prix sgdl de l’Essai, il Prix Essai France Télévision e il Prix Aujourd’hui, Prix “Livre et droits de l’Homme”. Attualmente è professore a La Femis di Parigi.

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