"E di colpo percepisce in quella dichiarazione una minaccia. Qualcosa che si avvicina dalla parte del mare. Qualcosa che avanza trascinato dalle nubi scure che attraversano invisibili la baia di Acapulco."
Roberto Bolano, (da Ultimi crepuscoli sulla terra; Puttane assassine)

giovedì 11 luglio 2013

I, da Sermones y predicas del Cristo de Elqui, di Nicanor Parra

Anche se vengo preparato
non so davvero da dove incominiciare
comincerò togliendomi gli occhiali
questa barba non crediate sia posticcia
22 anni che non la taglio
come neppure mi taglio le unghie
vale a dire che ho mantenuto la parola data
oltre la data stabilita
posto che l'incarico era per venti
non ho tagliato nè barba nè unghie
solamente le unghie dei piedi
in onore alla mia adorata mamma
ma ho dovuto passare per
umiliazioni calunnie disprezzo
anche se io non facevo del male a nessuno
solo tenevo fede alla sacra promessa
che feci quando lei morì
non tagliarmi la barba nè le unghie
per un periodo di venti anni
in omaggio alla sua sacra memoria
rinunciare ai vestiti comuni
e rimpiazzarli con un umile sacco
adesso vi rivelerò il mio segreto
la penitenza già l'ho scontata
presto potrete vedermi
nuovamente vestito da civile


venerdì 5 luglio 2013

Il luogo senza confini, di José Donoso, Sur editore

  Nel titolo c'è tutto Donoso. Il luogo senza confini è ironia, ma ironia dolente (non feroce, o solo in parte feroce). La scena in cui si svolgono i fatti è un piccolo paesino, El Olivo, un centro abitato, un agglomerato di case che, in un determinato momento, ha rischiato di divenire qualcosa di più, grazie ad un utopico all'acciamento ad un rete elettrica che non arriverà mai (tenetelo a mente, questo allacciamento), quindi è quanto di più lontano da un luogo senza confini, ma al contempo è un palcoscenico che rappresenta perfettamente non solo l'arcaica società latifondista latinoamericana che ancora sopravviveva all'epoca, ma tutta l'umanità e, al contempo, l'Inferno, dalla citazione del Faust di Marlowe. Forse, come viene accennato nella postfazione, questo libro voleva essere un romanzo sociale e, sicuramente, per fortuna, in quel senso è stato un completo fallimento, perchè Donoso non riesce a smettere i panni di Donoso e finisce col parlare dell'uomo, dell'essere umano, della sua pochezza, del suo voler essere altro da ciò che è e della sua frustrazione nel non poter essere nulla di diverso (nè di meglio) da ciò che è.  Il centro fisico della narrazione è un bordello, un bordello di paese, di El Olivo appunto, la cui attuale tenutaria è Manuela un travestito che si avvia verso il declino della vita. Manuela è famosa per i suoi balli e per il suo vestito alla spagnola. Manuela ha vissuto la propria esistenza tra un bordello e l'altro, come attrazione danzante e, per certi versi, come freak. Oggetto del desiderio di certi uomini che, schiavi della cultura machista, non possono accettare le loro stesse pulsioni e oggetto di scherno e di violenza di altri uomini che, anch'essi soggiogati dalla cultura machista, la prendono in giro pesantemente quando non la picchiano e la umiliano. La figura che racchiude entrambe le tipologie è Pancho Vega, un tipaccio della zona che si guadagna da vivere come autotrasportatore che, col suo camioncino rosso che ancora deve terminare di pagare, vaga nella notte pigiando forte col clacson per rivendicare al mondo il suo esistere, e che è, suo malgrado, irresistibilmente attratto da Manuela. Sul paese (chiamiamolo così, ma non è un paese è meno di un paese, molto meno di un paese, e molto di più) incombe la figura onnipotente, benevola e spietata, di Don Alejo (don Alejandro Cruz) che presta soldi (a Pancho, ad esempio, per il camion rosso), dispensa consigli, conosce tutti e decide il bello ed il cattivo tempo a El Olivo. E' lui che è stato eletto con la promessa di portare l'elettricità, pensando così di poter così imporre uno sviluppo accelerato al centro abitato e soprattutto ai suoi affari. In questa prospettiva, il bordello avrebbe dovuto divenire un "gran" bordello di classe, con l'orchestra, puttane belle, gentili e profumate e feste e libagioni tutte le notti, come a Talca, nel bordello di Tette di legno, ma la corrente elettrica è destinata a non arrivare mai, affare che viene gestito da persone che non esistono neppure nella concezione degli abitanti di El Olivo, persone anche più potenti di don Alejo. Se il bordello è il centro fisico della narrazione, Manuela ne è la protagonista, immagine potente e tragica che forse rappresenta l'immagine dell'artista e del suo destino ma certamente è in buona parte lo specchio dello stesso autore e del suo mondo interiore, non solo letterario: Donoso lascerà tra i suoi scritti la confessione della sua omosessualità, e saprà prevedere la tragedia che questa confessione porterà nella sua discendenza, tragedia che si compirà con il suicidio della figlia e biografa di Donoso, sconvolta per la confessione (*). Manuela non è un personaggio simpatico e, come sempre in Donoso, non è monodimensionale: è vanitosa, pavida ma sconsiderata, infantile, a tratti crudele con la figlia biologica (la Giapponesina, figlia di Manuela e della Giapponese Grande: lasciamo perdere la spiegazione, altrimenti tocca raccontare troppo) schiava dei propri desideri e della propria identità, così come Pancho non è il "grande" male, è un povero cristo, ignorante quanto basta per essere in completa balia, esattamente come Manuela, delle proprie pulsioni e della propria identità. Ma quel mondo arcaico non accetta lo scarto provocato da Manuela che, pur essendo uomo, ha un'identità femminile, proprio come quello stesso mondo arcaico non verrà illuminato dall'arrivo della corrente elettrica (e qui mi riallaccio all'accenno iniziale) che simboleggia chiaramente una modernità (e, in senso meno sociologico e più "donesiano", un'umanità migliore, illuminata appunto) che non è destinata a El Olivo, segregata oltre quel confine invisibile che pare chiudersi attorno al centro abitato, isolandolo (un confine invisibile che ricorda, per certi versi, la siepe leopardiana). E' come se una cappa oscura racchiudesse paese e narrazione, e destini dei personaggi, sotto una sorte ineluttabile, che è, nella visione dell'autore, il destino dell'umanità: pensare a sè stessa in termini alti rimanendo sempre inevitabilmente costretti entro orizzonti "animali", primitivi. Don Alejo è una finzione, appare onnipotente solo agli occhi degli abitanti del piccolo centro abitato, al di fuori del quale, anche lui diventa un pesce piccolo (medio piccolo, o medio grande, al massimo) possibile preda degli squali. Don Alejo non può portare la corrente elettrica, don Alejo può decidere delle vite della ristretta popolazione locale, ma non può fare altrettanto col suo che, nel finale, indoviniamo essere triste, ed umano, intriso di sentore di morte. Quello che rimane è la poesia (poesia non poetica, verrebbe da dire) tragica e sfacciata di Donoso che non riesce a chiudere gli occhi di fronte a quel male che è (diversamente da Pavese, che lo identifica col vivere) la vita.



 José Donoso (1924 - 1996) è uno degli scrittori più importanti della generazione del "boom" latinoamericano. nato a Santiago del Cile, si autoesilierà in Spagna durante la dittatura di Pinochet. L'osceno uccello della notte (pubblicato per Bompiani e presto - spero vivamente - ripubblicato da Sur Edizioni) è considerato il suo capolavoro. In Italiano è anche possibile rintracciare Tre romanzetti borghesi (per la Farenheit 451 edizioni, con testo orinale a fronte!).